Lo chiamavano il tasso
ed era veramente un predatore insaziabile che afferrava le corse coi denti e
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Lo chiamavano il tasso
ed era veramente un predatore insaziabile che afferrava le corse coi denti e
non le mollava più. E' stato conteso, amato, invidiato, odiato. E' stato
Bernard Hinault.
Quando chiesero a Bernard
Hinault se gli piacesse il soprannome che la gente aveva coniato per lui,
disse che sì, gli piaceva e anche molto: 'Il
tasso è uno sporco bastardo, proprio come me'
Classe, astuzia, strategia. Hinault è stato uno dei campioni più vincenti della storia del ciclismo e che
soprattutto conserva alcuni primati che ancora oggi risultano pressoché
intoccabili. Ma non solo, le storie delle sue imprese hanno il mix giusto di
thrilling, agonismo e schiettezza che fanno impazzire il pubblico.
Bretone puro dal carattere duro, meticoloso e senza peli sulla lingua, il
piccolo Bernard forgia la sua costanza fin da bambino quando è costretto a
percorrere quindici chilometri tutti
i giorni per raggiungere la scuola. Ma è a diciassette anni che comincia la sua
carriera prodigiosa vincendo la sua prima competizione su strada e da lì non
smette di collezionare successi: dai Mondiali su strada alle gare su pista,
Hinault promette di fare faville tra i professionisti e così accade. A
vent'anni passa tra i grandi e nel 1977 vince in pochi giorni Gand-Wevelgem e Liegi-Bastogne-Liegi, una delle corse che amerà di più '“ insieme al
Tour '“ quella cucita addosso a lui praticamente. Due dita ai limiti della
cancrena in una giornata da tregenda: la conquistò al prezzo di una mano che
ancora adesso non riesce più a distinguere il freddo ma nemmeno il caldo. Hanno
iniziato a chiamarlo 'Il Tasso' perché si nascondeva nella pancia del gruppo
fino al momento dell'attacco, e quell'attacco era così tremendo che non lasciava scampo. Lo scatto di un
predatore, non solo di gambe ma anche di testa perché Hinault ebbe al suo
fianco per molto tempo Cyrille Guimard,
uno di quei direttori sportivi fedeli più che mai alla sacralità della tattica
giusta al momento giusto.

Vinse così tre Giri
d'Italia e cinque Tour de France,
senza contare il Giro di Lombardia e
quella dannata Parigi-Roubaix che
neanche gli piaceva. La odiava, persino. Una
stronzata. Roba da rovinare una stagione o addirittura una carriera, una
carneficina inutile. Eppure quel giorno era in maglia iridata, era in forma poi
forò due volte, prese la bicicletta in spalla attraversando i campi per evitare
un'ammiraglia finita fuori strada, cadde per colpa di un cagnolino e affrontò
due mostri sacri nel velodromo che si chiamavano De Vlaeminck e Moser. Li
batté in volata, come a dire che al Tasso non fregava niente se il destino o la
fortuna, quel giorno, non erano dalla sua parte. Ai giornalisti che gli
chiesero perché avesse passato così tanto tempo sul bus prima della partenza e
lui raccontò che con la squadra, quella mattina, avevano rivisto la Roubaix del 1980 per studiare la corsa.
Balle. Avevano guardato un film porno.
La concentrazione, l'istinto, il carattere. Hinault non è
stato solo un predatore raffinato e intelligente, ma un sacco di altre cose non
iscrivibili in una personalità tanto trasparente quanto caleidoscopica. Non ha
cambiato idea sulla Roubaix e ha continuato ad amare la Redoute nonostante gli avesse portato via un pezzo di sé stesso per
sempre. Una linea di convinzione senza
ripensamenti, come quelle linee precise sulla mano, che sono così da quando
nasci e non le cambi. Non cambi.
Ha deciso lui ogni cosa, in fondo. Cosa vincere, quando vincere, cosa dire e
come dirlo, quando smettere di correre e perché. Proprio come tutti i nati
sotto il suo segno, così dissacranti, testardi e appassionati.
Forse qualcosa lo hanno deciso le stelle.